Quali i rischi nella vendita di una casa donata?

11.07.2019 17:38

La donazione nasconde diverse insidie.

Sia di carattere civile che fiscale.

Spesso viene usata come strumento per pagare meno imposte, in altri casi come metodo per spogliarsi dei beni ed aggirare il pignoramento del creditore, in altri ancora per evitare la corretta ripartizione del patrimonio del donante tra gli eredi legittimi.

Per questo, sotto un aspetto civilistico, esistono diversi rimedi per rendere inefficace o nulla la donazione: c’è ad esempio la possibilità di agire con la cosiddetta «azione revocatoria» o con «l’azione di riduzione» delle quote di legittima. Ma anche il fisco può far mettersi in fila e pretendere la sua parte. Secondo infatti numerose sentenze della Cassazione, vendere una casa donata è elusione fiscale.

Cerchiamo di scoprire se la vendita di un immobile ricevuto in donazione è lecita.

La vendita di una casa ricevuta in donazione è valida?

Gli eventuali riflessi fiscali non implicano ripercussioni nell’ambito del diritto civile. Per cui la vendita di una casa ricevuta in donazione è sempre valida. Tuttavia, in alcuni casi, l’atto può essere “revocato”

Ciò succede quando il donante, nel regalare l’immobile a una persona, ha ridotto eccessivamente il suo patrimonio fino a sottrarre, agli eredi legittimi, le quote sul suo patrimonio che spettano loro per legge. Cerchiamo di spiegarci meglio.

In base al codice civile, nel momento in cui una persona muore, il relativo coniuge, i figli, i nipoti e gli ascendenti hanno sempre diritto a una parte minima del suo patrimonio.

È quella che si chiama legittima e che viene calcolata per percentuali. Per determinare la legittima non si tiene conto solo del patrimonio esistente al momento della morte, ma anche di quello che il defunto aveva in vita. Vien da sé quindi che, se questi ha donato gran parte dei suoi soldi o degli immobili violando le quote di legittima, i parenti più stretti potranno agire per riprenderseli. Lo possono fare anche se il donatario ha, a sua volta, venduto i beni.

Un esempio renderà più facile capire di cosa stiamo parlando. Immaginiamo che un uomo, dopo aver divorziato, inizi a convivere con la badante e ad avere una relazione con questa.

Prima di morire le dona la sua unica casa e metà del deposito sul conto corrente. Una volta deceduto, la badante vende l’immobile e se ne torna nel paese d’origine. I figli però, all’apertura della successione, rimasti solo con pochi soldi, possono agire contro l’acquirente della casa, ricevuta dalla badante, perché la restituisca agli eredi legittimi.

Dunque, tutte le donazioni effettuate in vita da una persona sono aggregabili dagli eredi legittimi. C’è però un termine. Gli eredi devono agire:

  • entro 20 anni dalla trascrizione della donazione nei pubblici registri immobiliari
  • oppure entro 10 anni dall’apertura della successione. 

Superati tali termini, tanto la donazione quanto la successiva vendita non possono essere più attaccati.

Questo rischio fa sì che le stesse banche difficilmente finanzino l’acquisto di un immobile da un soggetto che lo ha precedentemente avuto tramite donazione. L’unico modo per cautelarsi è di ottenere, dal venditore, una dichiarazione firmata dagli altri eredi con cui questi si impegnano a non impugnare la donazione fatta dal defunto.

La donazione può essere oggetto di revocatoria

Un’ultima precisazione va fatta per chi vuol donare una casa solo per sottrarla ai creditori. Questi ultimi hanno due strumenti per rivalersi ugualmente verso il debitore:

  • se trascrivono il pignoramento entro 1 anno dalla donazione, possono pignorare direttamente l’immobile nonostante il passaggio di proprietà;
  • in ogni caso, nei primi 5 anni dalla donazione, possono esperire la cosiddetta «azione revocatoria»: dimostrando cioè che il debitore non ha altri beni da pignorare, possono rendere inefficace la donazione e pignorare la casa già donata.

(Fonte : www.laleggepertutti.it)

 

 

 

 

 

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